Regione Campania

View Original

Vento forte tra Lacedonia e Candela. Esercizi di paesologia

Franco Arminio
Laterza, Roma-Bari 2008


Vento forte tra Lacedonia e Candela”, è il messaggio meteo che si ascolta spesso alla radio nella stagione invernale, al punto da divenire una frase fatta, quasi un modo di dire, che rimanda all’attraversamento del tratto appenninico lungo l’autostrada che collega Napoli e Bari. Luoghi di transito più che di sosta; il libro di Franco Arminio vuole riempire questo transito, raccontando quello che c’è in mezzo, in maniera non banale, né tantomeno consolatoria; la sua paesologia non è la paesanologia, non è il racconto idilliaco dei luoghi turistici da domenica del villaggio, con l’aria salubre e il buon cibo: è il racconto dei luoghi dell’abbandono, dello spopolamento che colpisce molte aree d’Italia, il racconto di quelli che restano, chiusi nelle loro distanze.

E’ un viaggio che inizia nella sua Irpinia d’Oriente, quella parte della provincia avellinese sospesa tra tre regioni, con piccoli paesi che Arminio visita incessantemente alla ricerca della loro anima: Cairano, Zungoli, Andretta, Aquilonia, Teora, Monteverde, Conza, paesi nel cui nome riecheggia il ricordo del sisma del 1980; ma metaforicamente, il viaggio trasfonde presto nella perdita di senso del nostro vivere in comunità, per diventare un viaggio ed un conseguente racconto che parla anche alle città affollate e ai loro abitanti. La paesologia nelle parole di Arminio, è la cura per questa desolazione, una cura fatta di parole scritte, di tanti libri che da allora si sono susseguiti come Terracarne (2011) e Geografia commossa dell’Italia interna (2013) , ma è anche una comunità di persone che intorno a questo termine si sta costruendo negli incontri di paesologia che Arminio tiene nella sua Bisaccia o nella Aliano di Carlo Levi, muovendosi nel solco di quello che Edgar Morin chiamava “etica della relianza”: un nuovo di vivere insieme, un nuovo modo di rapportarsi con gli altri e con l’ambiente che ci circonda.

I luoghi dell’abbandono, della desolazione, attraversano l’Italia intera, hanno il loro centro nella dorsale appenninica, ma anche nelle valli alpine. Si tratta di aree distanti dai centri di offerta di servizi essenziali (quali istruzione, salute e mobilità), ma dove vive un quarto della popolazione italiana; ricche di importanti risorse ambientali e culturali, fortemente diversificate per natura e per processi di antropizzazione. Alle esigenze di questi luoghi cerca di dare risposta una politica di coesione avviata in questi anni, la Strategia Nazionale per le Aree Interne, una strategia che verte su una analisi dei bisogni e conseguenti risposte, coinvolgendo le comunità, i soggetti non solo rappresentativi ma anche rilevanti del territorio e che considera insieme servizi e sviluppo.

Si parla molto in questo periodo di una riscoperta di questi luoghi, di un ritorno a questi come una possibile risposta alla crisi conseguente all’emergenza sanitaria. E’ probabile che dalle aree interne dell’Italia si possa imparare molto; quello che tuttavia sarebbe sconsigliabile e da evitare, è che questo ritorno diventi una frase fatta, una moda, o ancor peggio nasconda il tentativo che Arminio racconta mirabilmente quando arriva nel centro di Morra il paese natale di Francesco De Sanctis:

Ritorno in piazza. Davanti al Comune è quasi ultimata la costruzione della casa canonica con aule catechistiche e sala parrocchiale. Costo: quasi un miliardo delle vecchie lire, fondi presi dall’otto per mille. Inutile indugiare a raccontare ancora dei tanti soldi spesi per la ricostruzione e degli effetti nefasti di tanto spreco: qui ci sono meno di seicento famiglie e quasi mille case. E poi tanti marciapiedi e muretti di pietra, come se il cosiddetto arredo urbano potesse servire a nascondere l’imbroglio di un paese fatto per far girare le betoniere più che le persone.
orlando di marino