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superbonus, l' impegno per salvare il salvabile e puntare a obiettivi reali

Bruno Discepolo
Il Mattino_Napoli
16.11.2022

La vicenda dei superbonus edilizi racconta meglio di qualunque altro episodio il momento di incertezza e sbandamento che sta vivendo l' Italia. Nel quale addirittura i due ultimi governi della Repubblica si sono distinti nel boicottare misure varate dal Parlamento: è accaduto con Draghi e con il suo ministro Daniele Franco con direttive affidate all' Agenzia delle Entrate ed ora con il ministro Giorgetti che propone norme sostanzialmente retroattive. Di certo sono condivisibili i tentativi di limitare i danni da parte degli esecutivi su una legislazione speciale tanto sgangherata nelle modalità operative quanto dannosa per le conseguenze che ha prodotto, non solo per le casse dello Stato quanto per gli squilibri che ha determinato, a partire proprio dal comparto delle costruzioni che avrebbe dovuto rilanciare. La censura riguarda semmai i modi in cui si è cercato di operare, innescando ulteriori contraddizioni e soprattutto contraccolpi, peggiorativi se era ancora possibile rispetto ad un quadro di totale incertezza normativa, di operatività tecnica e di agibilità finanziaria.
Ma procediamo con ordine.

L' intento iniziale, alla base dei primi provvedimenti legislativi che, beninteso risalgono già al 1997 con una defiscalizzazione tra il 36 e il 41 per cento, è del tutto condivisibile ed avrebbero potuto utilmente rafforzare una strategia di riqualificazione del patrimonio edilizio italiano, con la sua messa in sicurezza ed efficientamento energetico. Un finanziamento significativo, in termini di crediti concessi dallo Stato, rappresenta una condizione di favore, in una originale forma di partenariato pubblico-privato, che presuppone, in ogni caso, che i beneficiari privati contribuiscano almeno per una parte con risorse proprie. In questo modo si ottengono importanti vantaggi per la riuscita dell' operazione e cioè un controllo sulla regolarità delle diverse attività messe in campo, sulla congruità dei costi e sul rispetto dei tempi, infine sulla sostenibilità economica della misura.


Quando vent' anni fa, a Napoli si sperimentò con successo con il progetto Sirena, il prototipo degli attuali bonus edilizi, con un contributo a fondo perduto pari al 35 per cento, si produssero anche studi e simulazioni che dimostrarono come con un esborso pari al 65-70 per cento, vi sarebbe stata una virtuosità del modello, con un ritorno per l' operatore pubblico di non meno del 40 per cento in termini di maggiore fiscalità, oneri previdenziali, emersione del lavoro nero, più in generale per l' occupazione e i benefici indotti dal nuovo mercato generato.
Questo per dire che, quando dal solco virtuoso di un sistema anche in parte collaudato, ci si è spinti non solo a garantire la copertura totale dei costi ma, addirittura, al concetto del 110 per cento si sono poste tutte le condizioni per il fallimento della misura. Che non è tanto nelle frodi che ne sono scaturite, quanto negli sprechi assurdi che ha consentito, con una spesa assolutamente fuori controllo (quanti proprietari, anche di immobili di valore, hanno ristrutturato appartamenti e ville, senza che ne sia scaturita alcuna utilità pubblica) e con un bilancio drammatico, semmai sarà possibile effettuarlo un giorno, tra risorse impegnate e risultati raggiunti.
D' altronde anche uno studente di economia comprende che, con il criterio del 110, non si garantisce una condizione di interessi in competizione ma una sostanziale convenienza tra soggetti beneficiari ed imprese realizzatrici, a scapito del pubblico che paga per tutti.
Semmai vi è stata la sottovalutazione del ruolo, e dello spazio concesso, per una esasperata intermediazione finanziaria che ha limitato l' unica, vera novità positiva, costituita dalla cessione dei crediti ovvero dallo sconto in fattura.
Il risultato paradossale che è di fronte a noi è un blocco quasi totale, determinato dagli innumerevoli tentativi di condizionare il percorso dell' applicazione dei bonus, con il rischio concreto che una misura che sulla carta avrebbe almeno dovuto contribuire al rilancio del comparto delle costruzioni, potrebbe essere causa del fallimento di decine di migliaia di imprese, del licenziamento di centinaia di migliaia di addetti, di innumerevoli contenziosi, a fronte di qualcosa come circa 60 miliardi impegnati.


Che fare allora? In primo luogo non aggiungere danno a danno, con la proposta indecente di chiudere all' improvviso la scadenza per la presentazione delle istanze, ma stabilire una transizione più governata, tra regime attuale a tutto il 2022 e novità da introdurre a partire dal primo gennaio 2023, ed in secondo luogo impegnarsi per lo sblocco dei crediti e la riattivazione del sistema.
Inoltre lavorare da subito, nell' ottica della riduzione progressiva degli incentivi sino ad aliquote efficaci per i privati e sostenibili per il pubblico, distinguendo il caso di edifici unifamiliari da quelli condominiali, la maggioranza nelle nostre città, dove più complessa è l' introduzione di parametri di reddito. Soprattutto disincentivando le rendite di intermediazione finanziaria con nuovi strumenti di reale cessione del credito o sconto in fattura.
Occorre cioè assicurare un orizzonte temporale per l' applicazione di una misura che fuori da ogni deriva ideologica o strumentalizzazione politica assicuri il raggiungimento di tre obiettivi: la riqualificazione del patrimonio edilizio, pubblico e privato; un contributo reale al rilancio del mondo dell' edilizia; la sostenibilità economica a regime da parte dello Stato, come investimento e non come iniqua elargizione a fondo perduto.