Dall’Ellade a Bisanzio
Alberto Arbasino
Adelphi, Milano 2006
I libri di viaggio sono una costante nella formazione ed anche della biografia degli architetti. Dai taccuini di Villard de Honnecourt, alle descrizioni di Ruskin, al mitico Voyage d’Orient di Le Corbusier. Su quelle orme, ma raccontato con occhi e linguaggio diversi è questo piccolo baedeker di una immersione nella Grecia classica, che un trentenne Alberto Arbasino compie insieme ad alcuni amici di buone letture nella estate del 1960, in fuga da un Paese immerso nelle Olimpiadi romane.
Dopo la partenza da Venezia, si rincorrono “sospinti dai ricordi liceali che non perdonano” le strade di Atene, i resti di Olimpia, Delfi, Micene, il teatro di Epidauro (Mies van der Rohe vi era stato l’anno precedente: viaggi, sempre viaggi…) dove come per miracolo la Callas non riesce ad esibirsi perché in quel luogo isolato e assolato incredibilmente piove per l’intera serata, costringendo a rimandare la Norma e aggiornare le partenze a una “comitiva di industriali e architetti milanesi”; per poi chiudere il viaggio ed il libro ad Istanbul.
Atmosfere e parole di grande impatto, tra riferimenti colti e linguaggio spesso surreale. Arrivati a Mykonos la descrizione, molto attuale, su quanto questi luoghi si siano modificati sotto l’assalto del turismo di massa: “Si arriva di notte a Mykonos, isola sfruttata e lanciata come perla perlissima delle Kikladi, e quindi sotto l’urto di una ondata turistica ormai abbondante. Già trasbordando dal piroscafo ai barconi che portano a riva l’aspetto dell’isola appare leccato e incantevole. L’architettura e i colori sono gli stessi di Positano, e il naif è anche peggio: tutto bianchissimo, dentro e fuori, e perfino i marciapiedi e i gradoni. Non si vede una stonatura o un errore, il décoratuer trasuda in tutti gli angoli.”
orlando di marino