In Patagonia

Bruce Chatwin
Adelphi, Milano 1982


Un pomeriggio dei primi anni Settanta, a Parigi, andai a far visita a Eileen Gray, architetta e designer, che a novantatré anni lavorava come niente fosse quattordici ore al giorno. Abitava in Rue Bonaparte, e nel suo salotto era appesa una carta della Patagonia, da lei dipinta a tempera.
“Ho sempre desiderato andarci” dissi. “Anch’io” fece lei. “Ci vada per me”. Andai
.”

E’ lo stesso Chatwin in Anatomia dell’irrequietezza, a raccontare come la visita all’autrice della famosa casa E1027, sia stata la scintilla di quello che non si rivelerà essere solo un viaggio, bensì la svolta della sua vita, che trasforma un esperto di arte impressionista della casa d’aste Sotheby’s e il giornalista di arte e architettura del Sunday Times Magazine in un esploratore di mondi, i cui racconti diventeranno best seller internazionali, trasformandolo nell’emblema stesso del viaggiatore moderno.

Pubblicato nel 1977, il libro descrive un viaggio durato sei mesi, fatto a piedi, con uno zaino in spalla e i suoi inseparabili taccuini cerati neri, attraverso un universo popolato di volti e facce che segnano il cammino e costruiscono una conoscenza; storie di persone, che anche se fuori dalla grande storia, hanno il loro vissuto da raccontare.

Volti più che luoghi, storie umane più che paesaggi, che restano sullo sfondo: cercatori e collezionisti di resti di animali preistorici, proprietari di estancia e i loro peone, gallesi allevatori di bovini, missionari persiani Bahà’i venuti lì a predicare la loro religione, i lupini blu che bordano i giardini dei tedeschi, la fattoria di Butch Cassidy, prolifici italiani, padri salesiani, scozzesi raccoglitori di alghe che introducono le pecore dalle Falkland.

Nella Inghilterra post-bellica, il piccolo Chatwin si appassiona alla geografia sotto la pressione della minaccia nucleare staliniana: il bambino la studia per conoscere posti lontani, molto lontani, dove rifugiarsi e stare al riparo dalla atomica; quale posto più lontano della Patagonia, luogo reale e immaginario, che diviene con il tempo il simbolo estremo riparo dal rumore del mondo e medicina per la sua irrequietezza:

“La guerra sarebbe scoppiata nell’emisfero nord, perciò la nostra attenzione si rivolse al Sud. Scartate le isole del Pacifico, perché le isole sono trappole, scartate l’Australia e la Nuova Zelanda, come posto più sicuro della Terra venne scelta la Patagonia.
Immaginavo una bassa casa di legno, col tetto di assicelle, incatramata per resistere agli uragani, con dentro ciocchi fiammeggianti e, allineati sulle pareti, i migliori libri: un posto dove vivere mentre il resto del mondo saltava per aria.
Poi Stalin morì e noi cantammo nella cappella inni di gloria a Dio, ma io continuai a tenere in riserva la Patagonia.”

orlando di marino


 
 
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