Città e patrimonio urbanistico. La cura con il Next Generation



Il confronto sulle proposte contenute nella bozza del Next generation Italia, pervicacemente pubblicizzato come Recovery Plan, entra finalmente nel vivo, con una discussione di merito e non più solo di metodo ovvero solo sulla governance del programma, questione in ogni caso di non secondaria rilevanza. Da quando si è avviato il dibattito, tra le forze politiche e le istituzioni coinvolte, su quali progetti dovessero costituire la struttura e l’anima del nuovo Piano Marshall italiano per la ricostruzione post-pandemia, sono state avanzate le ipotesi più disparate, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo: dai circa 600 progetti, tirati fuori dai cassetti dei Ministeri interpellati, alle diverse centinaia di richieste avanzate in sede di Conferenza stato-regioni. Nella bozza predisposta dal premier Conte e dal ministro Amendola la definizione delle linee di intervento e la allocazione delle risorse disponibili sono state più opportunamente riproposte all’interno dei drivers fissati da Bruxelles, con le missioni previste nell’ambito del Green Deal e, dunque, transizione ecologica, inclusione sociale e rivoluzione digitale. Ricondurre la previsione dell’intero programma ad un numero limitato di progetti, 52 (forse ancora troppi), consente certamente di evitare il rischio, al momento tutt’altro che escluso, di polverizzare le risorse a disposizione in una miriade di interventi a pioggia, spalmate sia territorialmente che tematicamente.

La nuova fase di discussione, aperta con la richiesta di revisione e implementazione della bozza presentata, dovrà conseguire un nuovo e più virtuoso equilibrio tra risoluzione di problemi e deficit strutturali del nostro Paese e avvio di una nuova fase di modernizzazione, nella direzione di uno sviluppo sostenibile. E’ questa, a ben pensare, la chiave con cui selezionare gli interventi che dovranno caratterizzare il Next generation Italia, nella sua articolazione di Programma nazionale di ripresa e resilienza: risorse straordinarie per recuperare deficit pregressi, come nel caso delle infrastrutture, delle attrezzature ospedaliere e delle strutture scolastiche o dell’edilizia residenziale pubblica, con progetti improntati contemporaneamente alla riduzione del consumo di suolo, alla decarbonizzazione, all’efficientamento energetico, alla realizzazione di edifici intelligenti in città rigenerate. Riuscendo, ma questa sarà davvero la sfida più impervia di tutte, a coniugare, per l’attuazione del programma nei tempi stabiliti, il ricorso a strumenti e procedure straordinarie con una riforma e modernizzazione delle strutture della pubblica amministrazione, sia a livello centrale che locale. In questo quadro, è quasi superfluo sottolineare che il primo divario da recuperare è quello territoriale, cogliendo anche in questo caso l’occasione fornita dalle risorse provenienti dall’Europa se non come l’ultima di certo come un’irripetibile opportunità per affrontare il problema della divisione dell’Italia in due entità distinte, il Mezzogiorno da un lato e il resto del Paese dall’altro.

Qual è dunque la tipologia di progetti per inverare la filosofia a cui ho appena fatto riferimento? Provo a descriverne, in estrema sintesi, una che ritengo strategica e che potrebbe essere assunta a modello per le altre. Tra tutte le infrastrutture che definiscono la spina dorsale di un paese, le città e il patrimonio abitativo sono di certo tra le prime. L’Italia sconta, in questo campo, limiti strutturali, come nel caso dell’asfitticità delle nostre città in confronto con le grandi metropoli, veri e propri hub a scala planetaria, così come nella vetustà ovvero nella carenza di alloggi pubblici. Ormai da decenni è scomparsa dall’agenda politica nazionale ogni riferimento ad un rilancio di programmi in favore dell’edilizia residenziale pubblica e sociale, della riqualificazione delle moderne periferie mentre il tema della rigenerazione urbana è più declamato che praticato con strumenti, risorse e azioni concrete. La rinuncia ad affrontare questi problemi ha causato danni ingentissimi, economici e sociali e costituisce, ancora oggi, elemento di freno ad uno sviluppo sostenibile dei territori, alla loro competitività, all’affermazione di una reale politica di inclusione e accoglienza, di sostegno alle fasce sociali più deboli. Al contrario, un esteso programma per l’abitare sostenibile e la rigenerazione urbana, anche con significative risorse derivanti dal partenariato pubblico-privato, garantirebbe il raggiungimento di una molteplicità di obiettivi, in tema di coesione sociale e lotta alla povertà, riqualificazione e messa in sicurezza di quote di patrimonio immobiliare pubblico e di aree urbane, di efficientamento energetico e digitalizzazione di complessi edilizi e porzioni di territorio. Un forte investimento nel settore produrrebbe anche una ricaduta formidabile in termini occupazionali, a partire dal comparto delle costruzioni con tutto il suo indotto e sarebbe l’occasione per risanare ed efficientare l’intero settore dell’edilizia residenziale pubblica, oltre ad incentivare quella sociale.

Anche sotto il profilo dell’attuazione di un così impegnativo programma, è possibile immaginare, come si evince nella proposta elaborata dalla Regione Campania, una governance multilivello, con un coordinamento nazionale (e se del caso anche con la nascita di una Agenzia per l’Abitare sostenibile), con l’attivazione di un Fondo immobiliare nazionale e la declinazione di Fondi regionali, per evitare di assistere, come in passato, alla totale esclusione dei territori meridionali dagli interventi finanziati. Ed ancora un significativo ruolo delle Regioni, sia nella programmazione degli interventi che nella gestione degli stessi, attraverso le proprie agenzie, ex Iacp, detentrici di consistenti patrimoni immobiliari per atterrare, in ultimo, nelle città metropolitane e nei comuni, egualmente soggetti proprietari della restante quota di Erp. In tal modo sarebbe assicurata la distribuzione equilibrata di risorse ai diversi territori e la compartecipazione istituzionale nell’attuazione di un programma nazionale, oltre ogni tentazione localistica e parcellizzata.

C’è davvero da augurarsi, data l’importanza della posta in gioco, che superate le prove muscolari cui stiamo assistendo in questi giorni, si ritorni a confrontarsi sulla qualità e strategicità dei progetti, dentro una chiara visione del futuro che vogliamo realmente costruire.
Bruno Discepolo
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Intervento pubblicato su Il Mattino del 09.01.2021



 

Con questo articolo, apriamo la sezione dei DIALOGHI ad una riflessione sui temi della ripresa economica e sociale, dopo il periodo difficile della pandemia che non abbiamo ancora alle spalle. Lo faremo chiedendo un contributo di idee a studiosi, professionisti, imprenditori, associazioni, politici, per cercare di mettere a fuoco i temi da cui ripartire.

Lo faremo facendo avanzare i temi del nostro lavoro, sulla città, il paesaggio e la casa. Ritieniamo la casa una infrastruttura strategica del nostro Paese, e pensiamo sia utile innovare la maniera di pensarla e di costruirla alla luce anche delle difficoltà emerse in questa fase.

Abbiamo in questi mesi elaborato una proposta per un nuovo Piano Nazionale per l'abitare sostenibile, la rigenerazione urbana e l’inclusione sociale che qui presentiamo.

Un Piano per affrontare il tema della casa, proponendo che parte del Recovery Plan possa essere investito per costruire nuovi alloggi o ristrutturare il patrimonio pubblico esistente. Un modo per rimettere al centro del dibattito un tema da tempo dimenticato; un modo per riattivare l’edilizia e il suo indotto per riorientarla in un disegno infrastrutturale che tenga insieme il tema sociale di dare un alloggio a chi ne ha bisogno, la necessità di pianificare interventi di rigenerazione urbana e la sfida tecnologica del risparmio energetico.

foto di maurizio schächter conte

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Regione Campania
Proposta di Piano Nazionale per l'abitare sostenibile, la rigenerazione urbana e l’inclusione sociale
Smart building and social housing in Green Cities

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