La lezione attuale dell’archistar Ingels, padre dell’inceneritore di Copenhagen
Bruno Discepolo
Il Mattino
08.06.2022
Bjarke Ingels, fondatore dello studio BIG, è oggi ospite a Napoli per tenere una sua lezione nel Teatro di Corte di Palazzo Reale. È un appuntamento importante, non solo per la comunità degli architetti napoletani e campani, almeno per due ordini di motivi.
Con Ingels, prenderà il via un ciclo di incontri con i “protagonisti dell’architettura contemporanea”, promosso dalla Fondazione Annali dell’Architettura e delle Città, in collaborazione con il Diarch della Federico II, l’Ordine degli architetti di Napoli, l’In/Arch Campania e con il patrocinio della Regione Campania. L’evento, come altri che si sono già svolti e molti ancora che vedranno la luce nei prossimi mesi, si realizza nell’ambito delle iniziative finanziate dalla legge regionale 19/19 sulla Promozione della qualità dell’architettura, che ha selezionato più di ottanta progetti (ricerche, pubblicazioni, manifestazioni, ma anche costituzione di archivi, realizzazione di Case dell’architettura, promozione di concorsi) e si accinge, nelle prossime settimane a pubblicare un nuovo bando per l’anno 2022.
La programmazione del ciclo di incontri prevede, di qui alla fine dell’anno, una serie di appuntamenti, alternando – come in un ideale contraddittorio – alcune delle figure più rappresentative della scena e della ricerca, italiane e internazionali, tra gli altri Stefano Boeri e Cino Zucchi o i norvegesi Snøhetta e il giapponese Kengo Kuma.
L’intento meritorio, della Fondazione e degli altri organismi che l’affiancano, è di riportare Napoli dentro un dibattito, ed un confronto, oltre i tradizionali confini provinciali, come in effetti ha svolto, in stagioni ormai lontane. Se di certo la città non ha esercitato un ruolo di riferimento, per la produzione di opere significative di architettura contemporanea (se si escludono le testimonianze di autori importanti nella speciale tipologia di architetture ipogee, nel caso delle stazioni della metropolitana o anche solo a confronto con quanto realizzato, tra gli altri, da David Chipperfield o Zaha Hadid nella vicina Salerno), non di meno, per il prestigio della sua scuola di architettura, di molti dei suoi docenti e , soprattutto, di figure di riconosciuto accreditamento internazionale (si pensi solo a Renato De Fusco o Cesare de Seta), Napoli è stata per molto tempo luogo privilegiato di elaborazione e di confronto critico, una sorta di “agorà dell'architettura”, dove si sono alternati con la loro presenza critici del calibro di Joseph Rykvert, Manfredo Tafuri, Bruno Zevi, Christian Norbert-Schultz e autori come James Stirling, Peter Eisenman, Paolo Soleri, Richard Meier.
Una riflessione, quella sulle tendenze e i più recenti orientamenti nella ricerca e nella produzione dell’architettura contemporanea, quanto mai attuale.
Qui si innesta il secondo motivo di interesse della presenza e testimonianza di Bjork Ingels. Il lavoro del suo studio BIG costituisce in questo momento una delle frontiere più avanzate nella sperimentazione e nella ricerca, si potrebbe azzardare, di senso, sul ruolo del progettista e della disciplina nella società contemporanea.
Ancorché essere uno delle cosiddette “archistar” più apprezzate al mondo, a dispetto della giovane età, Ingels con BIG rappresenta una tendenza del tutto estranea agli esiti del lavoro di molte altre firme dello starsystem internazionale, volte a inseguire una ricerca formalistica e di linguaggio, al limite della autoreferenzialità ed in ossequio alla spettacolarizzazione oggi imperante. Al contrario, le opere di Ingels esprimono sempre una tensione costante nella traduzione spaziale delle nuove istanze, ecologiche e sostenibili, espresse a livello planetario da comunità, e città, alla ricerca di più avanzate soluzioni ed un possibile equilibrio tra utopia e pragmatismo. E se il pensiero va subito al termovalorizzatore di Copenaghen, CopenHill, è l’intera produzione di BIG a testimoniare quanto i materiali di progetto siano, per lo studio danese le sfide per l’affermazione di un più evoluto concetto di sostenibilità: nella mobilità, con Toyota Woven City, nell’idea di residenza, con Via 57 West a New York o Mountain Dwellings a Copenaghen, negli spazi di lavoro, con il campus di Google nella Silicon Valley, nel contrasto agli effetti del cambiamento climatico, con HUD Dryline a Manhattan e Oceanix Busan, in Corea. D’altronde non è casuale che l’esperienza del Bjarke Ingels Group prenda le mosse da una città come Copenhagen, sempre ai vertici delle ultime classifiche mondiali in tema di vivibilità e qualità ambientale. Sotto questo profilo si può affermare che la lezione di Rem Koolhaas, rintracciabile come riferimento e ispirazione all’origine del lavoro di Ingels, si sia ulteriormente evoluta, anche nella direzione di una dimensione, per così dire ludica, all’insegna dell’imperativo di “essere seri nell’essere divertenti”.
Acquista ancora maggiore valore la scelta operata dalla Fondazione, oggi presieduta da Pasquale Belfiore e nel solco della visione di Benedetto Gravagnuolo che ne propugnò la nascita e la guidò nei primi anni di attività, di ospitare alternativamente progettisti italiani e stranieri. Se difficilmente si può affermare che esista, e come tale possa rappresentarsi una scuola od un pensiero italiano in architettura, è non meno vero che concetti quali contesto, forse anche paesaggio, assumono a secondo se a “maneggiarli” sono autori italiani o meno, un significato affatto diverso, con esiti, nelle rispettive produzioni, diversissimi. Una ragione in più per incontrarsi, discutere e mettere a confronto idee e proposte.