PNRR, garantire la distribuzione e il buon utilizzo dei fondi al Sud

Bruno Discepolo
Il Mattino
12.07.2021

La discussione apertasi sulle pagine de il Mattino tra Gianfranco Viesti e la Ministra Carfagna sulle garanzie circa l’allocazione al Sud delle risorse previste dal PNRR ne richiama una seconda, di non minore rilievo per il valore strategico delle questioni che solleva.

Se in un caso si tratta di confermare l’entità dei finanziamenti destinati a riequilibrare condizioni strutturali dell’economia e prospettive di sviluppo tra le diverse aree del Paese, nell’altro si parla della qualità delle scelte nella distribuzione tra i diversi territori, anche all’interno delle stesse Regioni meridionali.

Un tema, quest’ultimo, intimamente collegato alle soluzioni predisposte dal Governo in materia di governance del Piano e di rapporto e di rispettivo ruolo di Ministeri e Regioni. Provo a spiegarmi meglio.

Nel meccanismo di selezione dei progetti candidati nell’ambito del PNRR e relativo fondo complementare, si può ragionevolmente sintetizzare che due saranno i criteri di scelta e, conseguentemente, di allocazione delle risorse: l’individuazione a monte del progetto, ad esempio di una infrastruttura, e l’immediata territorializzazione dell’opera con il suo apporto finanziario, ovvero la predisposizione di bandi e successive graduatorie per l’assegnazione dei fondi. Questa seconda fattispecie di procedimento può dar vita ad alcune varianti: il bando è gestito direttamente dal Ministero di riferimento e rivolto ai comuni o alle città metropolitane ovvero la selezione degli Enti territoriali è operata per il tramite delle Regioni. Un’ulteriore variante è l’utilizzo, per l’accelerazione della spesa, di bandi e graduatorie precedenti la stessa formulazione del PNRR.

Qui ritorna in pieno la preoccupazione di Viesti, laddove la distribuzione territoriale delle risorse è certa nella prima modalità e meno governabile nella seconda. A meno, evidentemente, di una riserva per le Regioni del Sud da predisporre nei bandi da emanarsi, tale da garantire l’equilibrio finale con il raggiungimento del 40 per cento di fondi atterrati nel Mezzogiorno.

Fin qui il problema, certo di non poco conto, della quantità, e si parla di miliardi di euro destinati a risollevare le sorti della parte più arretrata del Paese. Ma vi è anche il tema della loro distribuzione all’interno dei territori e della coerenza dei progetti con le strategie, di pianificazione e programmatorie, predisposte a livello regionale.

Il modello di governance predisposto dal Governo in più di un caso prefigura un rapporto diretto tra Roma, l’autorità ministeriale responsabile della misura, e i singoli comuni o città metropolitane. È il caso di ingenti risorse destinate, dopo un lavoro faticoso e proficuo di interlocuzione tra il sistema e la conferenza delle regioni e il Ministero degli Affari europei allora incaricato di redigere il PNRR, alla rigenerazione urbana e al rilancio delle politiche abitative, quali l’edilizia residenziale pubblica e sociale.

In questo caso il tentativo di ridimensionare il ruolo, costituzionalmente riconosciuto in materia, delle regioni fa correre sicuramente il rischio che il mancato raccordo tra la visione d’insieme, di area vasta, e la singola valutazione della fattibilità dei progetti presentati dalle amministrazioni comunali, possa produrre come risultato la concentrazione in alcune aree di progetti e risorse e la desertificazione in altre. Perdendo un’occasione storica di riequilibrio non solo tra le grandi aree del Paese ma anche all’interno dello stesso Mezzogiorno e dei singoli territori regionali.

È solo un esempio dei problemi, a mio avviso ancora tutt’altro che risolti, che agitano il tema della governance del più grande Piano di ricostruzione e rilancio che l’Italia abbia mai avuto a disposizione.

È augurabile che su queste questioni, più che alimentare polemiche e contrapposizioni, sia possibile confrontarsi e costruire un adeguato sistema di alleanze, politiche e sociali, in rappresentanza del Sud.


 
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