Superbonus, ora la sfida manutenzione

Bruno Discepolo
Il Mattino
28.12.2021

Una misura più di ogni altra, tra quelle inserite nella manovra per circa 30 miliardi predisposta da Governo e Parlamento, ha rischiato di dividere le forze politiche e di incrinare l’attuale maggioranza. Più ancora del reddito di cittadinanza è stato il superbonus per l’edilizia a registrare in particolare le resistenze dello stesso premier Draghi e del Ministero dell’economia. Dall’altro lato, a sostenere le ragioni della proroga e dell’estensione dei crediti fiscali per la riqualificazione del patrimonio abitativo, in prima fila Giuseppe Conte e il Movimento 5 stelle, che questa misura sembrano avere assunto a valore identitario del loro schieramento, di certo riconoscendo nella base sociale e professionale che sostiene il provvedimento una delle loro residue basi elettorali.

Lo stesso Draghi, ancora nella conferenza stampa del 22 dicembre, ha manifestato le sue perplessità sul punto imputando al superbonus al 110 per cento responsabilità dirette per l’aumento delle materie prime nel campo delle costruzioni e diffuse illegalità che ne condizionerebbero pesantemente l’attuazione. Al contrario, i sostenitori della misura rivendicano ai bonus edilizi la forte ripresa economica del Paese, il rilancio di un settore tradizionalmente anticiclico e con forti livelli occupazionali, in sintesi il primato in termini di performance del nostro Pil, anche tra i paesi europei.

Chi ha dunque ragione? Personalmente sono circa 20 anni che sostengo la formula degli incentivi nell’ambito della riqualificazione del patrimonio edilizio residenziale, sia pubblico che privato. A quell’epoca risalgono la nascita e l’inizio degli interventi della società Sirena, finalizzati a recuperare e rivitalizzare gli edifici della città di Napoli. In oltre 10 anni si sperimentarono metodologie rigenerative applicate su più di 1000 edifici, che a buon titolo si possono considerare l’anticipazione di ciò che è venuto dopo, con le diverse tipologie di contributi in tema di eco, sisma e superbonus o di bonus facciate.

Innegabili i risultati positivi conseguiti sia allora che, presumibilmente, ottenibili ora e in futuro. In primo luogo, anche se a volte si dimentica di dirlo, la messa in sicurezza di una parte del nostro patrimonio edilizio, il suo efficientamento energetico, adeguamento tecnologico, il superamento delle barriere architettoniche, un miglioramento significativo in termini di decoro urbano. Dei riflessi economici si è già detto, con innegabili risvolti per un indotto estesissimo, basti ricordare che per ogni miliardo di euro investito in edilizia si attiva un moltiplicatore di effetti del valore pari a 3 miliardi e mezzo e si genera un’occupazione di oltre 15.500 unità, tra operai, artigiani, professionisti, ecc.

Tutto bene, dunque, e si sbagliano Draghi e Daniele? Non proprio, perché se fino ad ora i crediti concessi hanno riguardato una parte, anche consistente del costo delle opere, ma comunque con la compartecipazione finanziaria dei cittadini, con la formula del 110 si è in pratica esonerato i richiedenti da qualunque esborso e con esso da ogni responsabilizzazione nella realizzazione degli interventi finanziati. Con una sola mossa si sono cioè azzerate sia le risorse private che rendevano sostenibile, almeno parzialmente, la misura per i conti dello Stato ed inoltre si è incentivata una pratica disinvolta che ha subito evidenziato fenomeni diffusi di spreco, se non proprio di illegalità. Alimentando anche più di un dubbio sull’equità sociale di uno strumento che, in definitiva, finisce con l’avvantaggiare, in termini di patrimonializzazione, i proprietari di immobili.

Come dire, quando l’ottimo è nemico del meglio. Se ora non è più il momento per arrestare il processo avviato così faticosamente con l’insieme dei crediti fiscali in edilizia e con il salutare shock che essi potranno determinare per l’economia italiana, è invero esercizio di responsabilità iniziare a ragionare su ciò che accadrà una volta esaurite le risorse, ben 18 miliardi messi a disposizione, in gran parte dall’Europa, per finanziarne l’attuazione. Avendo chiaro che una loro repentina e drastica riduzione potrebbero indurre un crollo dell’intero mercato dei lavori di riqualificazione immobiliare, oggi “drogato” dall’incentivo del 110 per cento. Gli studi prodotti all’epoca di Sirena dimostrarono che anche con formule molto spinte, intorno al 70 per cento di contributi pubblici, è possibile sostenere, in forma quasi strutturale, ordinaria, stabilizzata nel tempo, la promozione del recupero del patrimonio edilizio, con impatti significativi per l’operatore pubblico, in termini di ritorno di imposte, contributi previdenziali, emersione dal lavoro nero ma anche di risparmio energetico o per la prevenzione da eventi calamitosi. Così come dimostra anche l’esperienza delle diverse Agenzie che a livello internazionale operano da anni nel settore, si potrebbe determinare un valore aggiunto, ben oltre il semplice finanziamento a sportello delle singole pratiche, con organismi tecnici deputati ad accompagnare gli interventi di rigenerazione urbana, oltre che di recupero edilizio, definendo veri e propri “codici di pratica” tecnica ed amministrativa (contratti tipo, convenzioni con ordini professionali, capitolati prestazionali, ecc.) ma, soprattutto, svolgendo una funzione di controllo sui cantieri e sugli interventi realizzati, anche in materia di sicurezza sul lavoro. A questo proposito è solo il caso di ricordare che durante i 10 anni di attività di Sirena non un solo incidente interessò i cantieri avviati.

In definitiva, un duplice impegno attende il Paese nell’attuazione di una misura da cui, con i 18 miliardi assegnati dal PNRR e dal Fondo complementare sul totale di 230, molto si attende per il suo rilancio nella prospettiva post-pandemica. Capitalizzare al massimo le ricadute positive dell’investimento attuale, minimizzando costi e diseconomie dovute a complicazioni procedurali o eccessi di burocratizzazione e, al contempo, rivolgere tutte le energie per contrastare fenomeni degenerativi ed episodi di illegalità. Su di un altro piano lavorare da subito alla definizione di un modello di buona pratica che, a regime, possa favorire nel tempo una cultura della manutenzione programmata del patrimonio edilizio, della sua riqualificazione, della rigenerazione urbana di quartieri e periferie delle nostre città.


 

Foto di Giovanni Menna