Adolfo Pappalardo
Il Mattino
06.10.2023
«Siamo nel pieno di una crisi simile al bradisismo del 1983 e gli edifici sono molto sollecitati. Servirebbe un controllo», spiega Bruno Discepolo, già docente assessore regionale all'Urbanistica, che mette in guardia: «Evitiamo però paura e panico. Dobbiamo imparare a convivere con queste criticità. è così da 2500 anni e oggi abbiamo strumenti di monitoraggio molto più accurati».
Due giorni fa il sindaco Manfredi, alla Camera, ha chiesto una valutazione degli edifici privati dopo le ultime scosse.
«In tutte le crisi di questo genere, a cominciare dal sisma del 1980 e al successivo bradisismo, si è posto il problema e sono state avviate delle campagne a tappeto di verifica sugli edifici pubblici e privati. Senza fare distinzioni. è giusto ciò che dice il sindaco di Napoli. Bisogna però capire meglio questa fase: se siamo in un momento di parossismo del fenomeno, e quindi un'allerta, e quindi esserci un pericolo persistente in tal senso».
Si riferisce all'intensità e alla durata del fenomeno?
«In questo momento siamo nel pieno di una crisi che ricorda quella del bradisismo del 1983, come sanno molto meglio di me geologi, vulcanologi e sismologi.
Tanto questa crisi può fermarsi, tanto riprendere con la ciclicità e con la criticità che stiamo conoscendo in questi giorni».
Al momento non si segnalano grossi danni, se si escludono lievi lesioni su edilizia già deteriorata. Potrebbero esserci altre criticità?
«Non si può sapere ma ovviamente c'è stata, in queste settimane, una naturale sofferenza di molti edifici, sia di recente che di antica costruzione. Hanno dovuto sopportare spostamenti del terreno ed è naturale che le fondazioni abbiano sofferto.
Bisognerà, quindi, capire la risposta che queste costruzioni stanno dando a queste sollecitazioni: non si può escludere che in alcuni ci si possa essere sofferenza».
Chi dovrebbe verificare?
«Come in passato può entrare in gioco un'autorità nazionale che deve supervisionare tutto. Per fare un esempio, nel 1983, un provvedimento legislativo impose l'abbandono del Rione Terra a Pozzuoli. Ma questa volta l'area è molto più estesa: parliamo di una zona enorme dall'area flegrea sino ai quartieri occidentali. Io sono dell'opinione che non bisogna fare allarmismi ma serve massima attenzione per monitorare».
Chi dovrebbe verificare?
Alcune persone, in queste ore, hanno paura per le case in cui abitano.
«In questi momenti, capisco i timori di alcuni, ci si affida ai vigili del Fuoco per una prima stima, dopodiché se si rilevano problemi entrano in gioco i tecnici comunali o quelli privati per fare un'analisi più accurata dell'edificio».
Entro fine anno ci dovrebbe essere anche il varo dell'atteso piano paesaggistico regionale.
Oltre al superamento della legge 21 contro le costruzioni nell'area rossa, cambierà qualcosa anche per le vie di fuga?
«Non sovrapponiamo i temi. Tutto ciò che riguarda le vie di fuga è materia di Protezione civile. Diversa è la legge regionale 21 che bloccava maggiori insediamenti residenziali per contenere il carico antropico nella zona rossa in 23 comuni. Ma prevedeva una successiva pianificazione, il cosiddetto piano strategico-operativo, che doveva fare la Provincia. E poi avrebbero dovuto esserci altri interventi specifici per la realizzazione di progetti di viabilità, trasporti e vie di fuga. E anche lavori di consolidamento di alcuni edifici».
Ora il problema sembra riproporsi con queste scosse.
«Il mio prof universitario Eduardo Vittoria diceva che l'area napoletana è attraversata da una linea rossa dai campi flegrei a Vesuvio. Dobbiamo conviverci, come si fa da 2500 anni. E soluzioni semplicistiche non ve ne sono. Ma dobbiamo essere sempre pronti».
Come?
«Anzitutto affinare il monitoraggio dei fenomeni di rischio, e passi in avanti ne sono stati fatti. Dall'Ingv agli altri istituti con una quantità di sensori ci rassicurano come la situazione è monitorata. Poi, seconda cosa, serve mettere sotto controllo il patrimonio edilizio a prescindere da questa situazione. In altre parti del mondo, gli eventi sismici non provocano grandi danni perché edifici possono sopportare sollecitazioni. Infine serve un'educazione della popolazione a poter gestire, senza panico, una situazione di emergenza. E qui andrebbero fatte più esercitazioni per prepararsi: dalle scuole ai luoghi di lavoro».