Area Terremoto? No, Città di paesaggi

Le caratteristiche uniche del territorio colpito dal terremoto potrebbero indurlo a considerare una nuova infrastruttura, una città da far emergere, per riconoscerla come città contemporanea, nonostante vi siano stati ritardi culturali della percezione o errori di progettazione urbanistica nei singoli paesi. Il progetto di ricostruzione ha, con ritardo, attrezzato le strutture fisiche mentre ha trascurato la cucitura della frattura socio economica, compromettendo il risveglio delle comunità potenziali. Non si tratta allora di moltiplicare le discussioni sul perché ed il percome la classe dirigente sia stata miope o non lungimirante, ma di guardare nuovamente ai vuoti ed ai pieni dell’area vasta, come area o aree da riposizionare vivendo le opportunità che il futuro comunque offre.

I caratteri già fragili di un sistema economico locale, spesso privo di qualsivoglia azione organica, hanno determinato le condizioni per un sensibile e progressivo spopolamento, che pur manifestandosi in modo differente in relazione a differenti ambiti del territorio, costituisce tuttavia una minaccia per tutta la fascia territoriale dei paesi dell’area interna. Sotto questo profilo, appare interessante osservare come le aree dell’avellinese che sembrano dettare un’inversione di tendenza rispetto allo spopolamento siano quelle che, all’interno del sistema produttivo provinciale, non appartengono alle aree con potenzialità di azione sovra-comunale; per una serie di nodi e di complementarietà della mobilità, è possibile guardare, per queste aree, a dinamiche economiche esogene rispetto a quelle del territorio avellinese. Sono aree rivolte in parte all’area metropolitana napoletana e in parte allo sviluppo dei nuovi assi di comunicazione. Esempio di ciò sono i comuni che guardano all’area nolana, o quelli che guardano alla direzione verso Salerno, come Atripalda e quelli che godono degli assi autostradali verso la Puglia; ed allora cosa fare per i comuni del cratere avellinese che hanno subito la catastrofe terremoto e gli interventi di recupero a bassa efficacia?  

Il processo di valorizzazione delle differenze tra contesti territoriali interni, non sembra essersi sviluppato, ad eccezione del lavoro in atto sul territorio, ma procede con lentezza di sperimentazione e di realizzazione. Il tentativo di ottimizzazione delle risorse paesaggistiche all’interno di un percorso di rinnovamento dell’offerta turistica è avviato ma debole e non strutturante; in generale, su altri ambiti territoriali, nessuna dinamica di complementarietà è stata attuata e l’obiettivo di una visione complessivamente unitaria ed integrata del futuro dell’intera area appare ancora lontano. La promozione della competitività territoriale, attraverso il sostegno mirato alle politiche di innovazione, di qualificazione paesaggistica e ambientale è al centro della riflessione sull’uso delle risorse del Recovery Fund, ma proprio il Ministero delle Infrastrutture parlando di città di qualità da aggregare per la rinascita dei luoghi, fa riferimento alle città nella visione tradizionale, cioè a densità urbana di almeno 70 mila abitanti. Il potenziamento dei legami di coesione territoriale, attraverso politiche di riequilibrio degli effetti polarizzanti dello sviluppo, non è mai avvenuto e nelle aree del terremoto, ancora una volta, l’ambizione di consolidare dei centri ordinatori in grado di catalizzare processi di ripresa economica e sociale potrebbe essere differita.

Da Assessore all’Ambiente ed al Territorio, nel 2000 portai a Calitri, e per quell’area, il progetto “Quattro Piazze Per Non Morire”, ipotizzando di costruire una piazza grande, diffusa e contemporanea complementare all’estensione del Bosco Zampagnone; il Bosco poteva essere riconosciuto nella rete dei Boschi vetusti promossi in Europa come Bosco a complessità ambientale larga, ispiratore di nuove urbanità. L’idea era quella di segnalare all’ Europa nuove reti infrastrutturali caratterizzate da nuove esigenze di urbanità non riproducibili nell’area urbana. In aree urbanizzate fuori controllo si stavano moltiplicando i fenomeni di de-territorializzazione delle identità territoriali.

Spopolamento e sistema produttivo non adeguato erano fenomeni già segnalabili un ventennio fa, e già rappresentavano urgenze ormai radicate e strutturali per l’area vasta della direttrice Avellino- Calitri. Oggi spopolamento e sistema produttivo ed abitativo, richiedono risposte articolate e innovative. Solo un approccio olistico e coraggioso può invertire la tendenza e consentire di “ridurre le distanze” tra il sistema economico avellinese e quello di altre regioni europee. Lavorare sulle connessioni, sull’innovazione agricola orientata alla sostenibilità, sulla valorizzazione del paesaggio dei diversi patrimoni, sembrano opzioni non più procrastinabili, riconoscendo come debolezza del sistema avellinese la carenza di servizi per beni universali diffusi. La visione di territorio va ripensata strategicamente, inventando un'altra tipologia di città infrastruttura dove i paesaggi donati dalla storia e quelli da inventare, vengano percepiti come nuova urbanità da vivere, fino ad essere riconosciuti come componenti di una nuova città, che per adesso definiamo Città di paesaggi.

Partire dai vuoti culturali non ancora emersi significa investire nel vuoto da creare o riconoscere, come struttura del nuovo progetto; significa dunque aggiornare quelle urgenze all’interno di un sistema che accorda urbanità e paesaggio, garantendo l’opportunità di superare le dicotomie centro-periferia, città-campagna, urbano-rurale che hanno prodotto e producono distorsioni sensibili sull’ambiente e sulla qualità della vita. Utilizzare e valorizzare il vuoto culturale, diventa l’armatura del progetto e costituisce il principio di fondazione per leggere il territorio del terremoto in termini di opportunità. Occorre altresì specificare bene cosa si intenda per “vuoto”, dal momento in cui questa parola, in ambito urbanistico, racchiude un apparato semantico ricco di caratteri. Per prima cosa “vuoto” è tutto ciò che non è urbanizzato in modo idoneo. In seconda istanza, il “vuoto”, come anticipato, può conservare caratteri molteplici, tra loro diversi ma sempre contraddistinti da un’unica sostanza: il paesaggio riconoscibile è anche quello desiderato. Questo implica un secondo livello di analisi, concernente il paesaggio, che è paesaggio come naturale evoluzione, paesaggio come modellato dall’uomo ed il cosiddetto “terzo paesaggio” – come descritto da Gilles Clement – come sistema di spazi dal carattere “non-deciso”, perché derivante dalla non-progettazione umana: questi paesaggi è necessario che si ricongiungano.

Questa considerazione ribalta il ruolo di “territorio marginale” a vantaggio del territorio dove i paesaggi sono infrastrutture intrecciate e non contrapposte.  Applichiamo questa visione a tutti quei micro-agglomerati che puntellano il territorio provinciale di cui parliamo, accomunati da un processo di spopolamento ormai esponenziale e spesso contraddistinti da una percentuale di invecchiamento tra le prime a livello nazionale (i ‘luoghi che non contano’ nell’accezione di Rodriguez Pose o di Franco Arminio, che parla della necessita di una nuova infrastruttura, la fiducia come infrastruttura necessaria). La ripartenza in termini economici e sociali diventa un risveglio, una ‘rivendicazione di abitabilità’, fondata, così come per territori ben più urbanizzati, sul principio della facilità e della convenienza nei tempi di spostamento, con il valore aggiunto della suggestione e della qualità del paesaggio da vivere come opportunità.

Da circa due anni, da quando attraverso le aree del terremoto per raggiungere Cairano, con l’amico enologo e produttore di vini, riconosciuto a livello internazionale Bruno De Conciliis, coltivo la speranza di rigenerare l’idea di produrre vino a Cairano: il risveglio è connesso al riuso dei vuoti delle 76 cantine ipogee di Cairano, dove la natura ha segnalato la presenza di Cogoli e di Botroidi, come sull’Appennino Tosco Emiliano; queste forme geomorfologiche suggeriscono il fare. La natura diversi millenni fa, ha dato all’uomo l’informazione che il luogo ha un particolare valore per questa attività produttiva. Oggi la Natura incoraggia l’uomo a rigenerare il suo antico fare, adeguandolo al tempo del suo contemporaneo, ma senza perdere memoria. L’idea di far evolvere il paesaggio del vino di quel luogo per aggiungere competitività al paesaggio del vino come infrastruttura già competitiva della provincia avellinese, tiene dentro l’idea di lavorare su nuovi concetti di urbanità che oggi vanno incontro ai temi della qualità urbana invocata per il dopo pandemia.

La dose di beni necessari, per una nuova convivialità delle comunità aperte e plurali, la sicurezza ambientale l’aria e acqua, intreccia i temi della salute, della ricerca e della formazione: vanno progettate esperienze di economia applicata poggiate su nuove scuole fondamentali dove l’apprendere ad apprendere costituisca il tema della società nel suo complesso. Il Centro Grandi Rischi dell’Università di Salerno e della Federico II ha trasferito a Cairano, ricerche specifiche sulla naturalità che accompagnerà la produzione dei vini erranti, fino a generare l’idea di un luogo nuovo dove l’apprendere ad apprendere abbraccerà tutta l’area vasta fino ad influenzare la visione coordinata della presenza delle acque dei fiumi come il Sele, l’Ofanto, e gli altri luoghi delle acque montane.  Prospettare una città di paesaggi dove la geomorfologia parla di eco regioni a largo spettro e dà ai paesaggi una valenza di progetto infrastrutturale orientata al vivere del futuro non è un’utopia.

La città di paesaggi –infrastrutture di nuova urbanità- potrà crescere con la lentezza del cervello cognitivo di cui ad Ariano Irpino parlò la nostra amata scienziata, Rita-Levi Moltalcini, che accennò alla possibilità, circa 14 anni fa, di far crescere il cervello cognitivo, individuale e territoriale, oggi più idoneo a lavorare nella complessità di quello adattivo che di solito abita negli amanti dell’adesso.
Pasquale Persico

Cairano, la strada delle cantine ipogee, ph. Luigi D’Angelis

Cairano, la strada delle cantine ipogee, ph. Luigi D’Angelis

 
Indietro
Indietro

La città fragile che ha smesso di curare le sue ferite

Avanti
Avanti

Quarant'anni dopo