La città che verrà dopo la pandemia

Si avverte, a seguito della crisi scatenata dalla pandemia ancora in atto, una inderogabile riflessione sui temi dello spazio, della città, dell’architettura, del paesaggio. Le tematiche dell’architettura e del paesaggio sono parte del più ampio tema del cambiamento necessario alla ripresa delle attività del paese. Esse non vanno viste tuttavia come un elemento “passivo” nelle attività della ripresa, su cui riversare contributi economici “a perdere”.

Il comparto edilizio (comprendendo in esso la programmazione del territorio, l’architettura ed il paesaggio) è un settore di investimento produttivo e non un settore di pura e semplice spesa. La spesa nel settore edilizio crea, infatti, reddito, occupazione, trasformazione fisica e sociale, salvaguardia delle grandi qualità del nostro paese. Tuttavia è necessario ripensare alle modalità attraverso cui questo settore deve essere riattivato.

Il Covid 19 ha evidenziato carenze significative, già presenti, e che necessitavano, già da decenni, di interventi in quasi tutti i settori connessi all’attività edilizia, o, meglio, della costruzione del nostro ambiente di vita fisico, sociale, civile, culturale. L’attività di progettazione, di fronte alla pandemia che stiamo vivendo, mostra da un lato la competenza dell’attività del progettista, inteso in senso ampio, ad offrire il proprio sapere; dall’altro la necessità, da parte di chi si occupa di progetto, di adeguare i propri strumenti teorici e pratici alle nuove necessità. Attività non solo teorica, ma che esige un nuovo “fare”.

In particolare si è evidenziato, come conseguenza della pandemia in atto, una necessità di un “nuovo agire progettuale”, basato sulla necessità di contemperare due caratteristiche opposte: distanza e condivisione, almeno nei seguenti campi:

  • La salute (sia in senso generale che nei presidi fisici che ad essa sono preposti), dove si manifesta la necessità di rivedere modelli distributivi del servizio, che dovrà, da un lato, essere più diffuso, dall’altro più specializzato e attento al tema della non contaminazione, con un cambio sia del modello territoriale (presìdi di base più diffusi ed utilizzo di app ufficiali), che delle tipologie edilizie (percorsi diversificati ed aree di isolamento);

  • La mobilità, che se da un lato richiede di sviluppare mobilità collettive ed ecosostenibili, al fine di ridurre l’uso di mezzi individuali, dall’altro richiederà, viceversa, uno sviluppo di mezzi di mobilità individuali al fine di “mantenere la distanza”. Tale conflittualità richiederà una programmazione non solo legata ai vettori (sistemi sostenibili, elettrici, ciclopedonali, ma anche alle infrastrutture ed al loro rapporto con la complessità urbana delle città e del territorio italiano;

  • La didattica e la formazione. Anche se l’emergenza Covid 19 ha dimostrato che è possibile una didattica/formazione a distanza, è tuttavia indispensabile ritornare anche ad una notevole quota di didattica / formazione “vis à vis”. Ciò si scontra con le pregresse arretratezze del sistema edilizio ad esso dedicato, e con nuove esigenze legate ai problemi di distanziamento – compresenza, con evidenti problemi di rifunzionalizzazione / nuova costruzione delle architetture dedicate alla didattica e formazione a tutti i livelli. Dimensionamenti più ampi e dotazione di più spazi accessori e verdi sembrano ormai ineludibili.

  • La residenza, che presenta molteplici conflittualità interne vecchie (presenza di numerose abitazioni ancora al di sotto di standard minimi, e contemporaneamente, presenza di notevoli quantità di immobili, anche pubblici, inutilizzati ed inutilmente vincolati a funzioni esclusivamente di attrezzature); e conflittualità interne nuove, relative alla necessità di prevedere adeguamenti delle tipologie abitative alla contemporanea necessità di maggiori possibilità di isolamento e di maggiore presenza di spazi aperti da vivere durante periodi di isolamento; un’azione importante, più che sulle nuove costruzioni, dovrà essere adottata sull’adeguamento di quanto già esiste, senza ulteriore consumo di suolo;

  • Lo spazio collettivo ed il verde: le piazze, i parchi, le vie, le attività commerciali, i luoghi ludici, ecc. andranno adeguati alle nuove categorie di distanziamento. Sarà necessario fornire le città di nuovi e maggiori quantità e qualità di spazi verdi (già necessari ad una migliore vivibilità e sostenibilità, ma ora anche necessari per l’attutimento di questa ed altre possibili pandemie). Anche qui, si tratta di lavorare attraverso il recupero di aree abbandonate, interstiziali al tessuto urbano, finalizzato alla costruzione di una nuova struttura di riconnessione fra residenza, attrezzature, scuole, parchi, ospedali, con la finalità di determinare nuove “infrastrutture” urbane verdi, per una mobilità pulita, ciclopedonale ed ecologica, in alternativa all’attuale preponderante infrastruttura automobilistica;

  • I centri minori e le aree interne vanno rivisti e rivalutati come ulteriori elementi del tessuto territoriale del paese, necessari ad un riequilibrio delle concentrazioni urbane, opposto ad ulteriori negative concentrazioni edilizie; luoghi visti, invece, come serbatoio di verde, buon vivere, nuovi luoghi di lavoro “di ritorno”, basato sulle infrastrutture telematiche, luoghi di sviluppo di attività necessarie alla nostra sopravvivenza, ecologicamente e biologicamente adeguate ad una nuova agricoltura ed allevamento, oltre che a nuove professionalità ed attività lavorative possibili anche in telelavoro.

In tutte queste attività risulta evidente il ruolo attivo dell’architetto e del progettista insieme ad altre professionalità, rifuggendo dalla ricerca di un ulteriore consumo di suolo, dalla continuazione del modello di concentrazione metropolitana, e rivolgendosi, invece, verso sempre più indifferibili criteri di riuso, diffusione e sostenibilità, dove un ruolo importante potrà essere giocato dalle aree interne e dai centri minori.

Una nuova necessità di programmazione è, cioè, necessaria, basata su di un nuovo modello di struttura territoriale, sociale, del lavoro, della mobilità, dell’abitare, più attuale e più sostenibile, più multipolare.

E’ necessario ritornare, da parte delle istituzioni, verso una “generale capacità programmatoria”, che non lasci ad un liberismo senza regole gli interventi, ma che immetta, anche in questa attività programmatoria e progettuale finalizzata ad un nuovo modello di sviluppo, la capacità di adeguare sapientemente gli interventi alle qualità differenziate dei luoghi differenti di cui è costituito il territorio italiano. Una nuova attenzione che non si traduca in ulteriori labirintiche norme e regole, ma che si orienti verso un “fare” attento, misurato, innovativo, sostenibile, che superi ostacoli stratificati, ma ormai inadeguati, basati esclusivamente su divieti e vincoli a prescindere dai veri valori da perseguire.

E’ necessario un cambio del modello di sviluppo da quello metropolitano iperconcentrato, verso un modello di sviluppo ecologico. E’ necessario indicare “principi” e non norme capaci di suscitare:

  • Coesione sociale

  • Mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici

  • Habitat sostenibile: nuova residenzialità, nuovo rapporto fra città, città diffusa, centri minori

  • Riduzione e non aumento dell’impronta urbana

  • Promozione di una impronta adattiva e non standardizzata

  • Destinazione dei finanziamenti non a pioggia, ma prioritariamente verso le azioni che rispettino questi principi ormai inderogabili.

Vito Cappiello
già professore ordinario di Architettura del Paesaggio, DIARC, Napoli




 
Da Camillo Sitte, L’arte di costruire le città.

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Virus e questione abitativa