L'urbanistica per l'ambiente e la salute. Quali altre priorità?
L’epidemia del Covid-19 dovrebbe insegnare molto all’urbanistica. Prima di tutto dovrebbe insegnare che, più che puntare al rilancio dell’edilizia, è tempo di invertire la rotta e di operare una svolta decisa e sostanziale mettendo definitivamente al centro del dibattito disciplinare, delle norme legislative e della pratica professionale alcune fondamentali questioni: emergenza climatica e ambientale, salute umana, azione pubblica, regole globali, interesse collettivo.
Non dovrebbero esserci più dubbi sul legame tra criticità ambientale e pandemia e sulla rapidità e l’inasprimento del contagio proprio nei territori più fragili perché più a lungo esposti ad una serie diversificata di inquinamenti, di condizionamenti ambientali, di urbanizzazioni intensive.
Nelle regioni oggi più colpite dal Covid-19, nel Nord d’Italia con la Lombardia in testa, da anni i dati dimostrano che l’inquinamento atmosferico è una delle maggiori cause di mortalità per una popolazione che si è gradualmente indebolita e che tende ad ammalarsi di influenza molto di più che in altre regioni del paese, presentando gli esiti peggiori nelle persone anziane e in quelle con condizioni di salute già compromesse, soprattutto dal punto di vista delle malattie respiratorie (Dati.Istat.it, InfoData Il Sole24ore).
E’ chiaro che una condizione così critica dal punto di vista dell’inquinamento è spesso frutto dell’azione combinata di fattori naturali - fisici, meteo-climatici - e fattori antropici che hanno determinato in alcuni territori più che in altri una condizione complessa di forte impatto ambientale e una chiara minaccia alla salute umana.
Da anni gli effetti dei cambiamenti climatici - le piogge distanziate nel tempo, i lunghi periodi di siccità, le ondate di calore, il lento rimescolamento dell’aria – tendono a fermare e a stabilizzare come nubi compatte sui territori – la pianura padana è in questo senso il caso più rappresentativo e noto - gli inquinanti prodotti dalle industrie, dagli allevamenti intensivi, dalle concimazioni chimiche delle aree agricole, dal massiccio ricorso alle auto nelle aree dello sprawl urbano e suburbano, da un elevato consumo di suolo che proprio nelle regioni di Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto registra gli incrementi maggiori, anche negli ultimi anni (Rapporto consumo di suolo, SNPA, 2019).
Ebbene, questi dati sono tanti, da tanto tempo pubblicati e noti a tutti. Oggi più che mai, in piena e drammatica emergenza sanitaria e ambientale, dovrebbero diventare indispensabili riferimenti per pensare ad un cambiamento radicale, a nuove forme di sviluppo economico, a nuove politiche di sostenibilità, a nuove strategie territoriali, a nuove impostazioni culturali, basate sulla consapevolezza che il rischio ambientale - e dunque il rischio sanitario che in esso è compreso - è questione prioritaria e fondamentale, al pari se non prima ancora dell’economia, e che va affrontata con regole severe, con urgenza e con grande responsabilità politica e sociale.
L’Europa d’altronde con il Green Deal da tempo ha fissato i nuovi indirizzi in relazione ad energia pulita, industria sostenibile, tutela della biodiversità, mobilità sostenibile, blocco del consumo di suolo.
Ebbene, se questi sono le urgenze, i dati allarmanti, gli indirizzi europei e le prospettive a cui tendere, bisogna chiedersi lo Stato, le Regioni, i Comuni quali politiche pensano di attivare? Quali norme, regole, meccanismi, strumenti si stanno definendo per contrastare il rischio ambientale e tutelare prioritariamente la salute come “fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”? In che modo la salute come bene collettivo diventa competenza e priorità anche della pianificazione urbanistica?
Di questo si legge e sente assai poco. La pianificazione - il controllo dei cambiamenti strutturali dell’uso dei suoli, il blocco del consumo di territorio, la manutenzione e il riuso dell’esistente, la rigenerazione urbana non speculativa, la mobilità sostenibile, il risparmio energetico nell’edilizia, la lotta all’abusivismo - è invece fondamentale, ma diventa efficace al fine della tutela ambientale e sanitaria solo se si configura come strumento di una politica integrata, organica e di lungo respiro di sviluppo sostenibile. Dunque, solo se inserita all’interno di un serio contesto legislativo di livello nazionale – si ricorda infatti che in Italia vige ancora la legge urbanistica del 1942 e una legge sul consumo di suolo non è stata mai approvata - capace di definire le traiettorie di sviluppo comune, assicurando la coerenza tra gli obbiettivi ambientali, sanitari, sociali, garantendo le regole e i principi generali su alcuni punti fermi e inderogabili in merito ad ambiente e salute, evitando così la diversificazione, l’autoreferenzialità e la frammentazione delle leggi regionali nel governo delle trasformazioni territoriali.
Questo perché oggi più che mai è chiaro quali devono essere i limiti, le priorità, le visioni ampie, quale deve essere il ruolo forte di coordinamento dello Stato, quanto deve essere decisa l’azione pubblica, quanto sono necessarie regole globali per fortificare i territori e proteggere gli abitanti. Abitanti non di una regione o di uno stato, ma della terra tutta, perché ormai è chiaro che oggi quello che accade in una parte del mondo può avere una ricaduta disastrosa su di una qualsiasi altra parte del mondo, anche se lontanissima.
Stefania Caiazzo