L’architettura (e l’urbanistica) al tempo del coronavirus

Un sentimento sembra farsi strada nella comunità degli architetti e cioè la sensazione di una marginalizzazione del proprio sapere e, conseguentemente, del loro ruolo sociale, nella stagione della diffusione epidemica che stiamo vivendo. In altre circostanze le competenze dei tecnici, e per essi in particolare quelle degli architetti, sono state preziose nel contrastare gli effetti di catastrofi e sconvolgimenti dovuti, ad esempio, a terremoti e alluvioni. Non solo impegnati nelle difficili fasi della ricostruzione post-evento ma, spesso, anche in prima fila nelle drammatiche ore della gestione dell’emergenza, gli architetti hanno combattuto al fianco di tante altre figure professionali e prima ancora come cittadini. Questa volta è diverso e, riconosciuto ai medici e sanitari il compito di presidiare il fronte, la prima linea nella guerra che si sta combattendo, si amplifica la domanda se non vi sia, in tutto questo, come la consapevolezza di una inessenzialità dell’architettura e dell’urbanistica di fronte a fenomeni epocali quali quelli ai quali stiamo assistendo.

Il fatto è che l’essenza stessa di discipline quali l’architettura risiede nell’atto del progettare, nella capacità di prefigurare soluzioni, spaziali ma non solo, che vadano oltre l’esistente, iniziando a costruire per questa via il mondo che verrà. Se dunque si eccettuano incursioni pure importanti negli avvenimenti in corso (come nel caso del contributo auspicabile per la riorganizzazione delle strutture ospedaliere) è prevedibile che un ruolo, se non decisivo certamente significativo, l’intero mondo delle competenze tecnico-progettuali possa e debba svolgerlo nella fase post-emergenziale, quando tutti noi saremo chiamati a ricostruire su basi nuove il nostro rapporto, tra popoli e nazioni, tra genere umano e pianeta che ci ospita. Perché, se non abbiamo ancora certezze su quando e come finirà questa guerra, una cosa è certa e che nulla, dopo, sarà come prima. O, perlomeno, dovremo fare tesoro di quello che abbiamo compreso, nei giorni di Covid-19, e di resistere alla tentazione, che pure sarà forte, di ricominciare lì dove ci eravamo fermati. A questo punto occorreranno idee e visioni, per andare oltre, e agli architetti sarà chiesto, o spontaneamente dovranno offrirla, la loro capacità di costruire scenari, di avere una visione, un’idea a cui anche dare una forma, dell’ambiente e delle relazioni entro le quali immaginare una futura sostenibilità per il Pianeta.

 
Napoli, Piazza del Plebiscito_foto di Giovanni Menna

Napoli, Piazza del Plebiscito_foto di Giovanni Menna

 

Quando l’epidemia è scoppiata, presso l’Assessorato regionale al Governo del Territorio eravamo intenti, con un nutrito gruppo di amici e di istituzioni (dipartimenti universitari, ordini professionali, fondazioni e associazioni culturali, comuni) ad organizzare un evento, da tenersi prima dell’estate, concepito come una impegnativa riflessione in grado di coinvolgere specialisti e addetti ai lavori ma anche comunità e territori sui cambiamenti in atto, sulle modificazioni che coinvolgono i luoghi nei quali siamo insediati e che contribuiamo a trasformare con le nostre azioni. Per questo abbiamo deciso di intitolare “Città e paesaggi in transizione” il nostro appuntamento, che ci auguriamo, a questo punto, di dover solo procrastinare al prossimo autunno. Di sicuro resta confermato il senso della riflessione, cui vogliamo chiamare l’intera comunità di tecnici, docenti, amministratori, cittadini, se possibile attualizzando ancora di più il suo valore strategico: nell’epoca dell’incertezza dovuta ai cambiamenti climatici o della consapevolezza della fragilità dei territori e dunque dei rischi, vecchi e nuovi (compreso lo spettro di ricorrenti epidemie, che minano alle fondamenta l’idea stessa di mondo globalizzato), va indagata la natura, ridefiniti i caratteri, ricostruite le trame nelle relazioni tra i diversi luoghi degli insediamenti umani, soprattutto nelle interfacce più fragili tra paesaggio e città. Transizione, dunque, sia nell’accezione di relazione spaziale che temporale.

Cogliamo allora la necessaria sospensione, nella costruzione dell’evento, come un’opportunità per un supplemento di approfondimento e di discussione, sollecitando contributi ed interventi. Tutto questo lavoro, evidentemente, confluisce, per parte nostra, nelle attività in cui siamo impegnati e che continuiamo a portare avanti, come nel caso del Piano Paesaggistico Regionale, dei Programmi Integrati di Valorizzazione ( i Masterplan per il litorale Domitio-Flegreo e la Costa a sud di Salerno), del PUAD, della promozione della qualità in architettura e di molto altro ancora.

Bruno Discepolo