Ripartire dalla casa

Il ruolo dell’architettura in questa fase acuta di emergenza sanitaria è molto marginale. D’accordo perciò con Bruno Discepolo. Dopo, architettura, urbanistica, architetti, tanti altri saperi disciplinari e categorie professionali saranno necessari per porre mano al capitolo delle strutture sanitarie, anche nel loro rapporto con il territorio. Dopo, sarà parimenti necessario riprendere il tema della casa che da riparo rassicurante ‒ come vuole una lunga tradizione interpretativa socio-psicologica ‒ si sta rivelando in moltissimi casi uno spazio claustrofobico per la coabitazione prolungata e coatta imposta dall’emergenza in ambienti generalmente piccoli. Una condizione resa addirittura insostenibile quando si è costretti, o si sceglie di lavorare a casa, lo smart working.

Le nostre case non corrispondono più alle esigenze funzionali della famiglia contemporanea. La società è profondamente cambiata nella composizione dei nuclei familiari, le forme del lavoro si sono moltiplicate. Accanto all’antica e in molti casi perdurante formula di “casa e bottega”, anche il lavoro del terziario e del quaternario sbarcano negli ambienti domestici con quote di adozione in crescita esponenziale, ma la casa è rimasta sostanzialmente uguale nella sua concezione tipologica. È ferma agli schemi del razionalismo europeo degli anni Venti e Trenta con compartimentazioni rigide e spazi sempre più ridotti. L’existenzminimum non è più il geniale sistema di Alexander Klein ideato per progettare spazi molto piccoli e funzionali ma è l’anticamera delle nevrosi e dell’aggressività domestica.

L’ alternativa dell’architettura organica non è stata in grado di proporre schemi realmente flessibili. S’è limitata ad eliminare muri e porte senza discernimento per dar vita ad uno spazio fluido e continuo, piacevole da disegnare e bello da vedere, generalmente incapace però di far coesistere attività eterogenee senza reciproche, dannose interferenze. Perciò, inconvenienti seri: sui piani della privacy individuale, dei disturbi sonori, di quelli olfattivi (per la tendenza ad incorporare la cucina nel famigerato living), dell’impossibilità di lavoro e di concentrazione per più persone. Così si negano livelli civili e decorosi di coabitazione. La crisi sanitaria che stiamo vivendo ha funzionato da evidenziatore, sottolineando e esasperando problemi abitativi esistenti da tempo.

Ripartire dalla casa, quando verrà il tempo della ricostruzione. Per renderla spazio domestico amico di chi l’abita. Per rigenerare funzionalmente e tecnologicamente il patrimonio edilizio di centri storici e periferie.  Per attivare alti livelli d’impiego indispensabili per mitigare la grave crisi occupazionale già in atto. Un Piano-Casa della modernità e della solidarietà sociale, esempio d’una ricostruzione che per la prima volta non riguarda macerie edilizie provocate da guerre o terremoti.

Pasquale Belfiore

 
Tomaso Buzzi, Abitazione di campagna secondo il Serlio, da DOMUS n. 2 , 1929

Tomaso Buzzi, Abitazione di campagna secondo il Serlio, da DOMUS n. 2 , 1929

 
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L’architetto al tempo del coronavirus

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L’architettura (e l’urbanistica) al tempo del coronavirus